La chirurgia deriva dalla parola cheirourghìa, che significa “lavoro manuale”, da cheir, mano ed ergon, lavoro.
Reperti preistorici testimoniano con certezza che veniva praticata in modo rudimentale già in antiche tribù, prima di essere testimoniata negli scritti e nelle opere delle grandi civiltà greche, romane, egizie.
Lo studio primitivo dell’anatomia e l’assenza di anestetici contribuirono a sviluppare una pratica ancora molto rischiosa ma spesso efficace grazie alla straordinaria abilità manuale. Ovviamente il dolore e i rischi di emorragia o infezione erano elevatissimi.
Si nota che la figura del chirurgo era spesso separata da quella del medico/curatore in quanto questa figura era scollegata dalla spiegazione della malattia che spesso aveva attinenze con le pratiche magico-religiose.
Solo Ippocrate, vissuto in Grecia intorno al 450 a.C., riesce a dimostrare che le malattie sono causate da eventi legati al corpo e alle sue funzionalità e introduce i concetti di diagnosi e prognosi.
Le guerre e le pestilenze mietevano vittime ma offrivano la possibilità di studiare sul campo gli effetti delle cure portate alle ferite, agli arti rotti o recisi, alle infezioni persistenti.
Galeno di Pergamo (131-201 d.C.) era medico dei gladiatori e ne studiò l’anatomia facendo molta esperienza dal lato traumatologico e chirurgico, utilizzando come consuetudine ciò che i romani fornivano tramite terme, acquedotti e fognature: l’acqua pulita.
Nel Medioevo la medicina e la chirurgia ebbero un deciso declino, diventando appannaggio di pochi ordini monastici che utilizzano preghiere ed erbe officinali. I frati continuavano a tramandare nozioni e medicamenti per curare, ove possibile, le malattie conosciute. Ma il Clero scoraggiava la pratica, che veniva così affidata a barbieri, cerusici, conciaossa e ciarlatani, figure ambulanti definite volgari.
Solo nel XV secolo il prestigio del chirurgo tornerà ad essere pari a quello del medico grazie alla condivisione di culture araba, ebraica e bizantina, la fondazione di Scuole e Università della Medicina, la cura di sovrani e personalità celebri.
Nel Rinascimento la dissezione di cadaveri (anche da parte di Leonardo da Vinci) e lo studio di causa/effetto mettono in discussione i metodi conosciuti e si riscrive l’anatomia e la cura delle malattie, diventando a volte una moda. Non esiste un codice condiviso ma resistono alcune pratiche miste a innovazioni ancora non accettate.
Bisogna ricordare che essere insensibile ai lamenti dei pazienti ed avere assistenti forzuti erano doti indispensabili per un apprendista chirurgo.
Ma si svilupparono presto idee e scoperte che consentirono l’affermazione di anestesia e disinfezione. In pochi anni grazie a Semmelweis, Pasteur e Lister la pulizia delle ferite sviluppò anche la disinfezione degli attrezzi e il nuovo abbigliamento con camici, mascherine, cuffie e l’utilizzo di sale operatorie chiuse.
Il XX secolo è l’epoca d’oro della chirurgia: la radiologia, la rianimazione, i trapianti. Sono anni splendidi pieni di successi e di sempre più rare delusioni. Un impegno che diventa più tecnico, preciso, metodico. Ovviamente si deve all’ambizione, alla compassione e all’inventiva di questi chirurghi la possibilità di potere ambire a miracolose guarigioni o inimmaginabili sostituzioni d’organo.
Con la tecnologia e la biotecnologia si aprono spazi anche per la microchirurgia e la ricostruzione tissutale, si studiano protesi in grado di riattivare le funzionalità originarie, e tecniche riabilitative che portino ad una riconquistata qualità di vita.
La chirurgia della mano è una specialità nata per rispondere alle patologie traumatiche, degenerative, infiammatorie e neoplastiche che colpiscono la mano, la cui complessità richiede un trattamento strutturato, necessita cioè di un chirurgo che abbia competenza in Ortopedia e Traumatologia, in Chirurgia plastica e in Microchirurgia nervosa e vascolare.